Raggio di Luce


RAGGIO DI LUCE

Sabato 5 febbraio 2011, la giornata è splendida, di quelle che ti chiamano ad andare incontro alla roccia; non occorre fare neanche troppi chilometri; gli amici, quelli di sempre; la voglia “de rampegar” pure.Il monte Penna del Gesso è incorniciato di bianco, e questo crea un incredibile contrasto con il tepore della giornata, tepore un paio di maniche, fa proprio caldo! Che bello, gli amici, la neve ,la roccia ,il cielo…Obiettivo della giornata è “Raggio di luce”, che il suo apritore Eros Rossi, è andato a scovare in un angolo tranquillo e discosto della falesia di Pietramaura.Un paio di monotiri in falesia per togliere un pò di ruggine dalle dita e poi via sotto alla parete; soliti preparativi di rito, poi la prima gioia della giornata, quando mi viene detto “parti tu”, cavoli, uno sguardo alla parete che incombe sopra le nostre teste, solito sguardo a materiale e corde e solito fiatone che sale tutte le volte che si mette mano sulla roccia; cenno ai compagni un respiro profondo e via ad immergersi nella parete.Bruno Detassis diceva “se rampega prima cola testa, po coi pei e solo a la fin cole man”, sacro, non occorrono commenti!Il primo tiro, una gran placca verticale con una fascia leggermente strapiombante al centro e la fessura di riferimento in alto, che va ad addomesticarsi solo alla fine verso il boschetto; la roccia offre buone tacche, mai grandi, ma sempre abbastanza nette per la punta delle dita; la placca è placca, muovi bene i piedi e goditi il resto; superata faticosamente (per me) la fascia strapiombante, si attacca la fessura, all’inizio impegnativa per la scarsità di appigli, poi un pò più docile ma senza esagerare; il tiro è da 50 metri, occorrono 19 rinvii e la corda pesa maledettamente ad ogni rinviata, benedetta corda; finalmente, terminata la fessura, uscendo in diagonale verso destra, la roccia appoggia decisamente e ci si rilassa un attimo, ma solo un attimo perchè, se sotto la roccia è buona, sopra non si può dire altrettanto e la sosta sulla cengetta erbosa strappa un bel sospiro una volta raggiunta.Il recupero dei compagni è faticoso quasi quanto la salita, ma le facce sorridenti che sbucano sotto alla sosta valgono bene un pò di fatica.Il secondo tiro, ad avere le ali, si salterebbe pari pari tanto è solida la roccia, si fa prima a contare cosa non si muove in quei 35 metri di roccia infida; pulire il tiro dalla roba smossa vorrebbe dire modificare completamente la morfologia della parete.Dalla sosta sulla cengia, la visione del tiro che ci aspetta non è molto confortante, la placca con quella fessura strapiombante non mette a proprio agio, ma quando di mettono in sequenza i movimenti, trovando sempre il giusto appoggio per il piede e la giusta presa per la mano, ci si rende conto della bellezza del tiro; qua e là ancora qualcosa si muove, ma il gusto per l’arrampicata è al massimo e quando i piedi si posano sul “pulpito del poeta” aerea e splendida sosta panoramica, il cielo viene a farsi toccare con un dito, è felicità.Con le chiappe comodamente appollaiate sul pulpito, il recupero dei compagni è più piacevole, la decisione è semplice e naturale, cambio di testimone al comando della cordata per le ultime due lunghezze ridotte poi ad una sola per praticità.Il quarto tiro è battezzato più semplice dei precedenti, ma si esegue praticamente tutto in traverso e diagonale, quasi quasi era meglio farlo da primo, il quinto, unito insieme al quarto, è come quando finita una corsa trovi il tappetino rosso che accompagna gli ultimi metri prima del traguardo.Sorrisi, strette di mano e birra media sono il giusto finale di una bella giornata, ma dico io, per una birra vale la pena tanta fatica? vale, vale la pena, ogni centimetro di roccia, ogni bracciata di corda, ogni moschettonata vale la pena di tanta fatica, e il sorriso dei compagni? quello fa giornata da solo.Buona montagna a tutti!

Sogno di mezza estate “o d’inverno”

Peccato non si possa definire una salita invernale anche se c’erano tutte le condizioni,neve freddo, non molto a dire il vero,ma quei due giorni che mancano al calendario ci condannano ad una salita autunnale.

Sulla via penso sia gia  stato scritto di tutto e di più, continuare a fare i complimenti agli apritori mi sembra banale e scontato anche se trovare una linea di salita su roccia solida in um mare di marciume non  cosa da poco.

Vorrei provare ha trovare qualche critica da fare alla via: ad esempio la penultima (?) protezione del secondo tiro andrebbe alzata abbassandola (?) a dx verso il centro.e riguarvo alla variante del terzo tiro  del tutto illogica di solito le varianti si fanno x rendere le vie lineari non per allungarle anche se passa sotto a dei bellissimi tetti con difficoltà  contenute ed esce in un bel diedro stapiombante.perchè pensandoci bene visto la scarsità  di roccia da quelle parti forse non è un gran difetto.

Accidenti allora visto che non riesco a trovare niente da criticare mi voglio fare dei complimenti a me x essere riuscito a salire tutta la via con gli scarponi ai piedi ed in arrampicata libera e un grazie alla Claudia che mi ha seguito sulla via

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Spigolo Gianeselli allo spiz di mezzo.

Partenza sabato pomeriggio alle 14.00 da cesena x forno di zoldo, risalita la val pramper fino al parcheggio di pian de la fopa ( m 1210) alle 19.00 partiamo x il bivacco carnielli (m 2010 )dove arriviamo dopo due ore di ripido sentiero, senza un tratto in piano dove potere rifiatare e i “soli” 800m di dislivello ci fanno sudare le classiche sette camicie.

arriviamo giusto in tempo x goderci uno splendido tramonto e x buttare un occhio alla nostra meta di domani.una rapida cena e subito a dormire nel bivacco dove per fortuna siamo  soli. La mattina solito copione: sveglia prima dell’alba, con splendida vista sulla sud del civetta e del pelmo, rapida colazione e via all’attacco, la roccia non é bellissima il primo tiro ma migliora subito, la via mai troppo dura ma con passaggi esposti e da proteggere, fila via liscia;davvero molto bello il tiro chiave del diedro giallo con superamento del tetto(V+),e in poco più di 5 ore i 400 metri di via sono sotto di noi.

x la discesa consiglio di fare le doppie atrezzate sulla sella tra lo spiz di mezzo e lo spiz sud, con corde da 60 ne basta una.

una bella salita in un angolo di dolomiti ancora poco affollato e davvero meritevole

ringrazio i miei compagni di cordata che ancora una volta mi hanno seguito nella rincorsa alla realizzazione dei miei sogni;l’unico rammarico e che per uno che si realizza altri cento si affacciano alla porta. speriamo di avere tempo e modo x qualcun altro!

L’UOMO E’ UN DIO CADUTO,  INFINITO NEI DESIDERI, LIMITATO DALLA NATURA

ciao Andrea

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Sas Pordoi Via Maria

All’ ombra di un grande mito.

Sono tanti anni che salgo a Sas Pordoi in funivia sci in mano, obbiettivo la discesa ..

Ma, ogni volta mi ha sempre incuriosito quella parete che porta proprio sotto all’arrivo della funivia, alcune volte vi ho visto alcuni arrampicatori salire.

Ora è capitata l’occasione di provare a fare La Maria via del grande Tita Piaz

Serghej mi fa che via pensavi di fare? se ti va la Maria

Decisione presa, si parte il venerdì sera destinazione il parcheggio della funivia, notte in auto per essere pronti la mattina presto per partire.

Il giorno si preannuncia bello anche se subito fa un po freschino; freddo che passa subito appena inizia la salita alla forcella. Dopo un’ora di camminata siamo alla base della parete, ci sono già  due cordate, una sulla Gross  e l’altra sulla Maria.

Parto per il primo tiro, il secondo più impegnativo tocca a Serghej, un colatoio quindi un po liscio ma la roccia  solida, il secondo è un bel tiro e la roccia migliore. Tiro dopo tiro arriviamo all’uscita del pilastro dove godiamo di una magnifica vista sul Sassolungo.

Siamo al sesto tiro attenzione alla nicchia dobbiamo proseguire ancora aggirare un po lo spigolo e solo allora salire  la corda scorre male e alla nicchia Serghej è costretto a fare sosta, mi recupera e poi parto, 10 metri e sono in sosta. Settimo tiro avanzo un po titubante cercando di individuare la via giusta, poi vedo i cordini penzolare dal grande blocco, rassicurata sulla direzione salgo, tiro molto bello sosta comoda con vista  sul Pelmo, Civetta, Marmolada la giornata è tersa e il cielo pieno di parapendii, si vedono le tracce di salita su Punta Penia, ci sono pure tracce di discesa con gli sci da Punta Roca…poi anche Serghej arriva in sosta e dobbiamo ripartire verso la cima, infatti non è finita mancano ancora tre tiri.

Arrivati ai piantoni della funivia, possiamo dire ora è finita!!! andare al bar e goderci una meritata birra e la visione di un panorama stupendo Un po a malincuore scendiamo passando per la forcella, io già  la immagino piena di neve e spiego a Serghej i passaggi obbligati per poter scendere con gli sci, ma.questo è un’altro sport..

Ciao, Paola

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Diedro Dall’Oglio

DIEDRO DALL’OGLIO
Agosto 2010, compatibilmente con gli impegni del lavoro ed i capricci di un meteo che fa sembrare la nuvola di Fantozzi
un nulla a confronto, finalmente si è aperto uno spiraglio, così la sera del 18 si parte alla volta della Capanna Alpina
obiettivo il Diedro Dall’Oglio alla Torre del Lago.
A mezzanotte, tra uno sbadiglio ed un tornante,
Siamo in cima al Passo Falzarego, piove, a tratti anche forte, le nuvole sono
a bordo strada a fare muro di nebbia, il morale vacilla (…quante volte a macinare chilometri per non fare poi nulla…), al
parcheggio della Capanna Alpina però le cose sono migliori, non piove più e si comincia ad intravedere qualche timida stellina.
Non ci pensiamo, per ora, e passati nel reparto notte dell’auto proviamo a dormire; nel cuore della notte, tra un cambio di
posizione e l’altro, una sbirciatina dai vetri lascia ben sperare, una stellata da rimanere senza fiato ed il vento soffia,
ci riaddormentiamo con il sorriso; alle 7 il maitre di sala ci sveglia e ci invita a passare nel reparto ristorante (sempre
la stessa auto) per degustare una tipica colazione ladina a base di caffè dal termos e biscotti colesterolo-free; dopo la
vestizione, il preparativo dei materiali e la deiezione dei materiali corporei superflui, si parte, non prima però di avere
devoluto l’obolo al parcheggiatore che solerte alle 7 inizia il suo lavoro (tutto il resto del mondo fino alle 8 non muove
una paglia, ma i parcheggiatori sono una razza a sè…evoluta).
Il rifugio Scotoni sfila veloce, così come il Lago Lagazuoi, una piccola perla verde che da sola vale il biglietto del
parcheggio (e pensare che la maggioranza della gente si ferma al rifugio sui prati senza degnare quattro passi ed uno
sguardo a tanta bellezza, ma questa è un’altra cosa), all’imbocco della Forcella del Lago, attraverso i ghiaioni, arriviamo
all’attacco, c’è una guida con una cliente che stanno attaccando la via e dopo poco ci raggiungono cinque che parlano tedesco,
saluti di rito, preparativi veloci e si attacca la via…
I primi tre/quattro tiri sono a sentimento, non esiste percorso obbligato, solo la scelta migliore della roccia per evitare da
sinistra le fascie strabiombanti dell’inizio del diedro, fino a raggiungere la grande cengia che permette di raggiungere
il diedro vero e proprio. Attrezziamo quasi tutte soste quando la corda finisce; al primo tiro, una ragazza dei tedescofoni
passa oltre alla sosta che ho appena attrezzato, dopo aver fatto incazzare non poco il mio socio perchè non solo non è stata
capace di aspettare il suo turno, ma ha anche incrociato le sue corde con le nostra con somma gioia di tutti, perchè,
frizionando, io faccio fatica a recuperare ed il mio socio sale con la corda lasca che tende a rimanere lasca; fa sosta un
pò più in alto, poi fa la cosa sbagliata al momento sbagliato, domanda “prego, scusi, sbloccare mia corda da fezzura, bitte”,
la prima risposta che ottiene è “NO” poi l’animo pietoso che aleggia dentro di noi ha il sopravvento e una mano allungata
sblocca la corda, anche perchè bloccava le nostre corde…tugnina fortunata! La nostra simpatica straniera ha avuto un
conciliabolo di diversi minuti con i suoi compari a terra, poi ha continuato a parlare da sola per altri cinque minuti, ha
attrezzato una doppia sul vecchio e logoro cordino in nylon da sei millimetri passato in una clessidrina ed è sparita alla
nostra vista, insieme ai suoi compari, forse pensava di trovare le soste già  pronte con tanto di cameriere a servire mohito
e patatine di aperitivo…bah…meglio così, cinque in meno da badare…si continua a salire…
Le relazioni che abbiamo indicano una facile traversata di oltre sessanta metri fino all’imbocco di un canale/camino con
due chiodi alla base; traversa traversa, di canali camino ce ne sono diversi, alcuni accoglienti altri marci, alla base di
uno c’è uno spit nuovo, in un altro ci troviamo un vecchio chiodo, oltre, un marciume di pietre e la cengia che svanisce,
cavolo avremo fatto non più di quaranta metri…mah…gira di qua, gira di là , il camino non si trova, ma è lì che ci guarda,
ne siamo sicuri, e sogghigna pure eh eh…
Abbiamo uno scambio di idee con una cordata svizzera, hanno una relazione diversa e fa riferimento allo spit, poco sotto ben
nascosto c’è anche un chiodo, cavoli ecco il nostro canale/camino…è passato un pò di tempo, ma si continua a salire…
Finalmente tocchiamo il diedro vero e proprio, la via prosegue logica, tecnica, la roccia è verticale e fantastica, anche se
di chiodi ce ne sono veramente pochi, si trova sempre qualcosa per piazzare un friend in fessura o un cordino in clessidra.
Cinque tiri filati incastrati nel diedro, passaggi in leggero strapiombo bene ammanigliati, mai banali ma neanche mai troppo
difficili, un vero piacere di arrampicata.
L’unica nota stonata la fanno le diverse cengie e cengiette che di tanto in tanto spezzano la verticalità  della roccia, cariche
di sassi, sassini e sassolini, che già  a guardarli cadono, figuriamoci con lo sfregamento delle corde, è quasi una pioggia
continua, fischi e sibili che ci hanno tenuto compagnia per tutta la salita.
Si fila verso l’alto, su per il diedro veloci, senza tante pause, fino alla crestina di uscita della via.
La discesa, anche grazie agli ometti di pietra, si trova molto bene, una breve doppia e le ghiaie della forcella superiore
sono presto raggiunte, il resto della discesa non ha storia se non che al rifugio Scotoni si fa pausa, ma non per la lunghezza
della discesa, si fa pausa per la birra accompagnata da un panino, perchè di sola acqua e barrette non si campa…
Un ultimo saluto al diedro dal sentiero di discesa per il parcheggio e via di nuovo verso la civiltà , anche se si stava
decisamente meglio in mezzo alle rocce.
Anche questa via entrerà  a far parte di quei ricordi da rivivere ogni volta che si parla di montagna, l’alpinismo per me è
il piacere di fare qualcosa di bello, in compagnia di un buon amico, in una bella giornata di sole, brindando alla fine di
tutto con un bel boccale di birra, non tanto alla via percorsa, ma alla giornata trascorsa, ovvio che se poi c’è stata
anche la vetta…prosit!
“…i ricordi sono gocce di resina che sgorgano dalle ferite della vita…” Mauro Corona
Ps.
Aggiornamento tecnico sulle relazioni che si trovano in giro.
Arrivati sulla cengia non si trovano più i 2 chiodi per la sosta a cui fanno riferimento alcune relazioni, ma bisogna arrangiarsi abbastanza difficilmente. poi i metri di cengia da percorrere sono circa una quarantina e anche in questo caso la relazione parla di 2 chiodi alla base di una nicchia. I 2 chiodi sono stati sostituiti da un Fix nuovo. Per la via originale bisogna salire sopra al Fix. Per il resto la via è abbastanza intuibile anche se l’arrampicata non è mai su diedro ma sulla parete sinistra di esso.

Castellani e Vampa 2010

L’estate tarda ad arrivare, le dolomiti sono ancora piuttosto fredde, allora la meta preferita
diventa l’appennino marchigiano, per la precisione la Balza della Penna; la via può essere considerata storica,
la Castellani/Vampa, via che garantisce difficoltà  omogenee su roccia tutto sommato buona e pure un tiro di A0/A1.
Un bel numero di rinvii ed il resto del materiale, fanno sembrare l’imbrago una gonna di paglia stile danzatrice hawaiana,
un pò più pesante e viene difficile sculettare in qua e in là ; al posto delle ghirlande di fiori, i cordini…
Siamo due cordate e all’attacco della via sappiamo di non essere soli, qualcuno è già  sopra di noi…
Partiamo tranquilli e progrediamo abbastanza spediti, scorgiamo i nostri predecessori, sono due, tre, no sono quattro,
abbiamo due cordate davanti…e li raggiungiamo alla partenza del tiro di artificiale.
La piazzola della sosta non è grande, ci sono già  loro quattro e tanto altro spazio non ce n’è, ci arrangiamo
quanto meglio si può…con quello che c’è…nello spazio che c’è, uno attaccato ad un alberello, due su uno spit
e l’ultimo su un altro spit di progressione del tiro precedente, il tutto collegato con una ragnatela di corde e cordini.
La cordata che sta lavorando sul tiro è alquanto pittoresca, i due alpinisti che la compongono hanno un continuo
scambio di parole, alcune seriamente alpinistiche, ma il resto estremamente goliardiche, condite da ampi, fantasiosi
ed estremamente chiari epiteti tra di loro…si vogliono un bene fraterno e si vede, pardon, si sente…
Quando si rendono conto della platea, che li sta osservando salire, la cosa assume caratteri che definire simpatici è
molto riduttivo, lo scambio di battute si allarga a tutti i presenti con gioia anche nostra che siamo appesi ovunque
come le palline di un albero di natale…
…ma quello in sosta lo conosciamo…ma sì è Paolo Castellani, cavoli l’apritore della via, e quello su chi è? ma certo
è Ennio Tenti…abbiamo davanti a noi un pezzo della storia alpinistica targata Romagna-Marche (come la coop)
L’area di sosta, perchè solo così può essere definita, diventa una piazza da mercato dove gli attori principali restano
sempre loro, ma attorno cresce il coro delle voci minori, che spettacolo, non si è mai sentito un casino così da
nessuna parte in montagna, e dire che siamo i primi a cercare il silenzio tra i vertiginosi appicchi dove solo il vento
ha diritto di parola…e tireremmo volentieri una scarica di sassi a qualunque casinista…ipocrisia di un concetto!
La battuta top in assoluto, quella che ottiene lo share maggiore da parte dei presenti, è quando Paolo si gira verso di noi
e, con fare ironico esclama “…ma vuoi mai che due della nostra età  debbano ancora fare della roba così?”
La loro età  si aggira sui 70 ma non li dimostrano affatto e noi, magari avercene così come loro, quando ci arriveremo…
Nei momenti clou del tiro, però, per qualche secondo le battutacce tra loro si fermano e lasciano spazio a brevi e
precisi comandi di corda, a lasciar intendere che comunque si ride e si scherza, ma la testa lavora insieme alle mani…
…sulla roccia
L’apoteosi viene raggiunta all’arrivo di Ennio in sosta,gli epiteti si ripetono fino a quando Paolo parte e allora
ricominciano i comandi di corda, brevi come sempre ma precisi, fino all’arrivo in sosta…a quel punto salutoni a
profusione, baci e abbracci e i due signori della roccia così come li abbiamo trovati se ne spariscono su per la via
veloci come il vento…e si lamentavano della loro “età ” sti due ragazzini…neanche la polvere delle loro tracce abbiamo
trovato quando siamo arrivati alla cengia.
Loro sono scesi per la via della cengia mentre noi siamo saliti alla cima proseguendo la via, ma questa è un’altra storia
“Salire con fluidità , tra terra e cielo, concatenando movimenti precisi ed efficaci, ci regala serenità  e pace interiore”
Gaston Rebuffat

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Balza della Penna “Il Tinaccio”

Un giro sul “Tinaccio”

Quando è un pò di tempo che non arrampichi, ti viene quel prurito alle dita, quella leggera sensazione di disagio, poi arriva quella vocina nel cervello che ti sussurra “ma perchè non stacchi i piedi qualche metro da terra?”
Fa caldo, per tanti motivi, il lavoro sempre e solo maledetto lavoro, il tempo disponibile è poco, più una fuga che altro, ma gli amici ci sono eccome, quelli ci sono sempre; per ricominciare a muoversi in verticale la scelta è presto fatta, non lontana da casa ma in un bel contesto paesaggistico, avvicinamento breve, non lunga, il “Tinaccio” sulla cresta sud del Montiego vicino alla Balza della Penna.
Sono in compagnia di Renato e Pippo, già  questo fa giornata, solite disquisizioni all’attacco, sul materiale, la via è ben chiodata ma all’imbrago carico un pò di materiale in più, pesa un pochino ma non si sa mai (bella la frase “non si sa mai”, giustifica tante cose).
Il primo tiro inizia bene anche se il caldo comincia subito a farsi sentire, al traverso mi ricordo subito di allungare i rinvii ma, mannaggia a me, non ho pensato che sarebbe stato meglio allungare anche l’ultimo chiodo prima di arrivare nel traverso, c’è una piccola rientranza e la corda inizia subito a frizionare sulla roccia con mio sommo gaudio; ogni movimento lo devo affrontare con una bracciata di corda lasca, recuperata a fatica e trattenuta con i denti, così se volo oltre alla figura da “patacca” ci lascio pure le gengive…la sosta però è vicina e continuando con la fatica del recupero completo l’espiazione del peccato di quel rinvio.
La partenza del secondo tiro la roccia non si concede facilmente, ma poi, proprio come fosse una bella donna, una volta vinta, si mostra a te in tutta la sua bellezza e la parte superiore, verticale e magnifica, vale ogni chilometro fatto, quando arrivo al chiodo con anello (quello citato nella relazione), cerco sopra la sosta, guardo quanti chiodi ancora per arrivarci e conto all’imbrago i rinvii, che non sono sufficienti ma il “non si sa mai” stavolta dà  i suoi frutti e con cordini, moschettoni liberi e fantasia, completo il tiro.
Il terzo ed il quarto tiro si lasciano domare piacevolmente a completamento di una via, di una bella mattinata, di un bel momento di amicizia che si salda ogni volta di più quando ci stringe la mano, quando ci si scambia un sorriso o una battuta, quando si commenta la giornata appena vissuta ad un tavolo con i piedi sotto e una birra sopra…
Io non cerco altro dalla montagna…buona montagna a tutti, Lorenz
(agosto 2009)

“Perchè vado in montagna? Perchè alpinismo vuol dire natura…e perchè in natura ritrovi l’autentico senso della vita,
il segreto di una gioia interiore che nessuna vicenda terrestre potrà  annientare” GUIDO ROSSA

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Palestra di Roccia “4 Gatti”

Le montagne, grandi o piccole che siano, sono e rimangono con le loro vie di più tiri l’ambiente che preferisco; ed proprio per questa mia predisposizione Alpinistica che anche quando vado in falesia sui monotiri è difficile ripetere per più volte lo stesso tiro.

Da questo nasce una ricerca di posti nuovi dove arrampicare su monotiri mai provati.

Vi voglio consigliare e farvi conoscere questa Falesia.prima nevepanorama con nebbia

Alcuni arrampicatori locali di cui non conosco il nome ma elogio, hanno fatto un ottimo lavoro di pulizia e chiodatura in un ambiente veramente bello e suggestivo in mezzo a boschi di faggio e di abeti.faggiabeti rossi

La Falesia si trova a Tonezza del Cimone, dista circa 250 km da Forlì e ci si arriva passando da Padova e seguendo le indicazioni per Valdastico e Piovene Rocchette, poi per Arsiero e per Tonezza. Da quì seguire per Folgaria e dopo poco si incontrano sulla sinistra i cartelli per la”Palestra di Roccia 4 Gatti”.

Il sentiero per la falesia è sempre segnato perfettamente.palestra di roccia

La Falesia è divisa in due fasce di Roccia sovrastanti che a volte vi si accede tramite piccoli tratti atrzzati.ferrata La roccia è calcare grigio bianco molto solido.

panoramica falesia

Le vie, lunghe prevalentemente dai 18 ai 30 metri, sono ottimamente chiodate e le difficoltà sono medio alte, dal 5a al 8a+.

panoramica falesia 3L’Arrampicata è divertente quasi sempre su verticaleo strapiombo. La falesia è in espansione e le potenzialità sono tante. L’altitudine è sui 1000 mt. e a parte se nevica nelle giornate di sole si stà bene anche in autunno inoltrato, esposizione sud-sud/ovest.io che arrampico

sempre io

La zona è anche ricca di storia in quanto vi sono svariati sentieri che conducono a strutture dell’ultima guerra (fortino,trincee ecc..)sentieri All’interno del sentiero che conduce alla falesia viene proposto il giro ad anello chiamato “Excalibur”, per cui per chi non vuole solo arrampicare….

settore zodiacosettore zodiaco 2settore Astrasettore Lias

Buon Divertimento

Ad Erto con Mauro Corona

Ad Erto con Mauro Corona
Dialogo con Mauro Corona.
di Renato Placuzzi e Genni B.

Un ‘ruffo’ di capelli tenuti a stento da un fazzoletto annodato alla nuca, occhi neri profondi, braccia nude…
Il bar di Erto è pieno di gente seduta a i tavoli ma la fisionomia è nota e balza agli occhi. Immediatamente.
Alza gli occhi, sorride di un sorriso aperto, amichevole. Le mani si staccano dal bicchiere di vino rosso e gesticolano in modo deciso, ci fanno segno di sedere al tavolo con lui.
Non ce lo facciamo ripetere e ci troviamo a conversare con Mauro Corona come vecchi amici, il bicchiere di vino rosso in mano.

“Lo vedi questo? E’ un amico, inseparabile..un amico – nemico.
E’ stato in certi periodi della mia vita un amante traditore, di cui subivo il fascino e le conseguenze nefaste….
Ora non più. Posso smettere quando voglio. La montagna aiuta anche in questo. La montagna, la solitudine con te stesso sai…ti fa riacquistare la tua dimensione umana ed etica. Ti riconcilia con te stesso e con il mondo. Sono stato solo in una grotta per qualche tempo e senza questo (indica il bicchiere di vino) …. sai, non ne ho sentito neanche il bisogno.
I giovani devono capire che possono farcela con le loro sole forze perché la volontà è potenza.Basta tirarla fuori.”

“Perché hai scritto un libro in cui ti metti a nudo in modo così totale?”

“Dovevo pareggiare i conti con il mio passato, dovevo rivederlo sulla carta per potermi riconciliare con lui … eh …ne ho fatte di “cazzate”!
Non sono un mito, sono una persona con i suoi difetti. Voglio che i giovani si guardino dai falsi miti.
La dipendenza, qualsiasi essa sia, uccide la libertà, è da combattere e vincere.
E voglio che i giovani che vanno a scalare sappiano che è da fessi rischiare per il gusto di quel subdolo brivido dell’estremo….
Ti fa sentire vivo…ma vivo – morto…è un attimo.
E’ una lezione che ho vissuto sulla mia pelle, sulla mia esperienza, per anni.
Mi è andata bene ma c’era scritto da qualche parte… ho potuto aprire quelle trecento e oltre vie quasi sempre rischiando la pelle.
E’ assurdo. Ne ho sprecato di tempo…”

“Hai ‘sprecato’ tempo……”

“Soffrire oltre l’umano come ho sofferto io annulla il vero piacere della scalata.
Oggi penso che non si debba soffrire così, che questo tipo di sofferenza tolga tempo alla vita.”

“E il risultato che hai conseguito ?”

“Sì certo, sono orgoglioso delle vie aperte ma quanto tempo ho sottratto al vero piacere dell’arrampicare per arrampicare, al piacere di muoversi, studiando il movimento con serenità, con calma, in un tutto armonico con la montagna….”

“La montagna quindi si gode più su un quarto grado che su un settimo?”

“Su un quarto, quinto grado sei più libero. Puoi permetterti di gustare i movimenti, puoi “nuotare verso l’alto”con stile, perché lo scalare è nuoto in un elemento diverso dall’acqua , ma è nuoto ascendente…. Su un quarto grado puoi gustare ciò che ti circonda….
Fermarti e spaziare con lo sguardo..senza stressanti paure.”

“La montagna quindi per te è stata tiranna…”

“ Nel senso che mi ha soggiogato la sfida del traguardo.
La sfida con me stesso mi ha reso..sì..schiavo.
Godere della montagna non deve e non può significare giocarsi la vita.
Anche questo voglio dire ai giovani: la vita è troppo importante ”

Genni B. – Renato Placuzzi