Sas Pordoi Via Maria

All’ ombra di un grande mito.

Sono tanti anni che salgo a Sas Pordoi in funivia sci in mano, obbiettivo la discesa ..

Ma, ogni volta mi ha sempre incuriosito quella parete che porta proprio sotto all’arrivo della funivia, alcune volte vi ho visto alcuni arrampicatori salire.

Ora è capitata l’occasione di provare a fare La Maria via del grande Tita Piaz

Serghej mi fa che via pensavi di fare? se ti va la Maria

Decisione presa, si parte il venerdì sera destinazione il parcheggio della funivia, notte in auto per essere pronti la mattina presto per partire.

Il giorno si preannuncia bello anche se subito fa un po freschino; freddo che passa subito appena inizia la salita alla forcella. Dopo un’ora di camminata siamo alla base della parete, ci sono già  due cordate, una sulla Gross  e l’altra sulla Maria.

Parto per il primo tiro, il secondo più impegnativo tocca a Serghej, un colatoio quindi un po liscio ma la roccia  solida, il secondo è un bel tiro e la roccia migliore. Tiro dopo tiro arriviamo all’uscita del pilastro dove godiamo di una magnifica vista sul Sassolungo.

Siamo al sesto tiro attenzione alla nicchia dobbiamo proseguire ancora aggirare un po lo spigolo e solo allora salire  la corda scorre male e alla nicchia Serghej è costretto a fare sosta, mi recupera e poi parto, 10 metri e sono in sosta. Settimo tiro avanzo un po titubante cercando di individuare la via giusta, poi vedo i cordini penzolare dal grande blocco, rassicurata sulla direzione salgo, tiro molto bello sosta comoda con vista  sul Pelmo, Civetta, Marmolada la giornata è tersa e il cielo pieno di parapendii, si vedono le tracce di salita su Punta Penia, ci sono pure tracce di discesa con gli sci da Punta Roca…poi anche Serghej arriva in sosta e dobbiamo ripartire verso la cima, infatti non è finita mancano ancora tre tiri.

Arrivati ai piantoni della funivia, possiamo dire ora è finita!!! andare al bar e goderci una meritata birra e la visione di un panorama stupendo Un po a malincuore scendiamo passando per la forcella, io già  la immagino piena di neve e spiego a Serghej i passaggi obbligati per poter scendere con gli sci, ma.questo è un’altro sport..

Ciao, Paola

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Diedro Dall’Oglio

DIEDRO DALL’OGLIO
Agosto 2010, compatibilmente con gli impegni del lavoro ed i capricci di un meteo che fa sembrare la nuvola di Fantozzi
un nulla a confronto, finalmente si è aperto uno spiraglio, così la sera del 18 si parte alla volta della Capanna Alpina
obiettivo il Diedro Dall’Oglio alla Torre del Lago.
A mezzanotte, tra uno sbadiglio ed un tornante,
Siamo in cima al Passo Falzarego, piove, a tratti anche forte, le nuvole sono
a bordo strada a fare muro di nebbia, il morale vacilla (…quante volte a macinare chilometri per non fare poi nulla…), al
parcheggio della Capanna Alpina però le cose sono migliori, non piove più e si comincia ad intravedere qualche timida stellina.
Non ci pensiamo, per ora, e passati nel reparto notte dell’auto proviamo a dormire; nel cuore della notte, tra un cambio di
posizione e l’altro, una sbirciatina dai vetri lascia ben sperare, una stellata da rimanere senza fiato ed il vento soffia,
ci riaddormentiamo con il sorriso; alle 7 il maitre di sala ci sveglia e ci invita a passare nel reparto ristorante (sempre
la stessa auto) per degustare una tipica colazione ladina a base di caffè dal termos e biscotti colesterolo-free; dopo la
vestizione, il preparativo dei materiali e la deiezione dei materiali corporei superflui, si parte, non prima però di avere
devoluto l’obolo al parcheggiatore che solerte alle 7 inizia il suo lavoro (tutto il resto del mondo fino alle 8 non muove
una paglia, ma i parcheggiatori sono una razza a sè…evoluta).
Il rifugio Scotoni sfila veloce, così come il Lago Lagazuoi, una piccola perla verde che da sola vale il biglietto del
parcheggio (e pensare che la maggioranza della gente si ferma al rifugio sui prati senza degnare quattro passi ed uno
sguardo a tanta bellezza, ma questa è un’altra cosa), all’imbocco della Forcella del Lago, attraverso i ghiaioni, arriviamo
all’attacco, c’è una guida con una cliente che stanno attaccando la via e dopo poco ci raggiungono cinque che parlano tedesco,
saluti di rito, preparativi veloci e si attacca la via…
I primi tre/quattro tiri sono a sentimento, non esiste percorso obbligato, solo la scelta migliore della roccia per evitare da
sinistra le fascie strabiombanti dell’inizio del diedro, fino a raggiungere la grande cengia che permette di raggiungere
il diedro vero e proprio. Attrezziamo quasi tutte soste quando la corda finisce; al primo tiro, una ragazza dei tedescofoni
passa oltre alla sosta che ho appena attrezzato, dopo aver fatto incazzare non poco il mio socio perchè non solo non è stata
capace di aspettare il suo turno, ma ha anche incrociato le sue corde con le nostra con somma gioia di tutti, perchè,
frizionando, io faccio fatica a recuperare ed il mio socio sale con la corda lasca che tende a rimanere lasca; fa sosta un
pò più in alto, poi fa la cosa sbagliata al momento sbagliato, domanda “prego, scusi, sbloccare mia corda da fezzura, bitte”,
la prima risposta che ottiene è “NO” poi l’animo pietoso che aleggia dentro di noi ha il sopravvento e una mano allungata
sblocca la corda, anche perchè bloccava le nostre corde…tugnina fortunata! La nostra simpatica straniera ha avuto un
conciliabolo di diversi minuti con i suoi compari a terra, poi ha continuato a parlare da sola per altri cinque minuti, ha
attrezzato una doppia sul vecchio e logoro cordino in nylon da sei millimetri passato in una clessidrina ed è sparita alla
nostra vista, insieme ai suoi compari, forse pensava di trovare le soste già  pronte con tanto di cameriere a servire mohito
e patatine di aperitivo…bah…meglio così, cinque in meno da badare…si continua a salire…
Le relazioni che abbiamo indicano una facile traversata di oltre sessanta metri fino all’imbocco di un canale/camino con
due chiodi alla base; traversa traversa, di canali camino ce ne sono diversi, alcuni accoglienti altri marci, alla base di
uno c’è uno spit nuovo, in un altro ci troviamo un vecchio chiodo, oltre, un marciume di pietre e la cengia che svanisce,
cavolo avremo fatto non più di quaranta metri…mah…gira di qua, gira di là , il camino non si trova, ma è lì che ci guarda,
ne siamo sicuri, e sogghigna pure eh eh…
Abbiamo uno scambio di idee con una cordata svizzera, hanno una relazione diversa e fa riferimento allo spit, poco sotto ben
nascosto c’è anche un chiodo, cavoli ecco il nostro canale/camino…è passato un pò di tempo, ma si continua a salire…
Finalmente tocchiamo il diedro vero e proprio, la via prosegue logica, tecnica, la roccia è verticale e fantastica, anche se
di chiodi ce ne sono veramente pochi, si trova sempre qualcosa per piazzare un friend in fessura o un cordino in clessidra.
Cinque tiri filati incastrati nel diedro, passaggi in leggero strapiombo bene ammanigliati, mai banali ma neanche mai troppo
difficili, un vero piacere di arrampicata.
L’unica nota stonata la fanno le diverse cengie e cengiette che di tanto in tanto spezzano la verticalità  della roccia, cariche
di sassi, sassini e sassolini, che già  a guardarli cadono, figuriamoci con lo sfregamento delle corde, è quasi una pioggia
continua, fischi e sibili che ci hanno tenuto compagnia per tutta la salita.
Si fila verso l’alto, su per il diedro veloci, senza tante pause, fino alla crestina di uscita della via.
La discesa, anche grazie agli ometti di pietra, si trova molto bene, una breve doppia e le ghiaie della forcella superiore
sono presto raggiunte, il resto della discesa non ha storia se non che al rifugio Scotoni si fa pausa, ma non per la lunghezza
della discesa, si fa pausa per la birra accompagnata da un panino, perchè di sola acqua e barrette non si campa…
Un ultimo saluto al diedro dal sentiero di discesa per il parcheggio e via di nuovo verso la civiltà , anche se si stava
decisamente meglio in mezzo alle rocce.
Anche questa via entrerà  a far parte di quei ricordi da rivivere ogni volta che si parla di montagna, l’alpinismo per me è
il piacere di fare qualcosa di bello, in compagnia di un buon amico, in una bella giornata di sole, brindando alla fine di
tutto con un bel boccale di birra, non tanto alla via percorsa, ma alla giornata trascorsa, ovvio che se poi c’è stata
anche la vetta…prosit!
“…i ricordi sono gocce di resina che sgorgano dalle ferite della vita…” Mauro Corona
Ps.
Aggiornamento tecnico sulle relazioni che si trovano in giro.
Arrivati sulla cengia non si trovano più i 2 chiodi per la sosta a cui fanno riferimento alcune relazioni, ma bisogna arrangiarsi abbastanza difficilmente. poi i metri di cengia da percorrere sono circa una quarantina e anche in questo caso la relazione parla di 2 chiodi alla base di una nicchia. I 2 chiodi sono stati sostituiti da un Fix nuovo. Per la via originale bisogna salire sopra al Fix. Per il resto la via è abbastanza intuibile anche se l’arrampicata non è mai su diedro ma sulla parete sinistra di esso.

Castellani e Vampa 2010

L’estate tarda ad arrivare, le dolomiti sono ancora piuttosto fredde, allora la meta preferita
diventa l’appennino marchigiano, per la precisione la Balza della Penna; la via può essere considerata storica,
la Castellani/Vampa, via che garantisce difficoltà  omogenee su roccia tutto sommato buona e pure un tiro di A0/A1.
Un bel numero di rinvii ed il resto del materiale, fanno sembrare l’imbrago una gonna di paglia stile danzatrice hawaiana,
un pò più pesante e viene difficile sculettare in qua e in là ; al posto delle ghirlande di fiori, i cordini…
Siamo due cordate e all’attacco della via sappiamo di non essere soli, qualcuno è già  sopra di noi…
Partiamo tranquilli e progrediamo abbastanza spediti, scorgiamo i nostri predecessori, sono due, tre, no sono quattro,
abbiamo due cordate davanti…e li raggiungiamo alla partenza del tiro di artificiale.
La piazzola della sosta non è grande, ci sono già  loro quattro e tanto altro spazio non ce n’è, ci arrangiamo
quanto meglio si può…con quello che c’è…nello spazio che c’è, uno attaccato ad un alberello, due su uno spit
e l’ultimo su un altro spit di progressione del tiro precedente, il tutto collegato con una ragnatela di corde e cordini.
La cordata che sta lavorando sul tiro è alquanto pittoresca, i due alpinisti che la compongono hanno un continuo
scambio di parole, alcune seriamente alpinistiche, ma il resto estremamente goliardiche, condite da ampi, fantasiosi
ed estremamente chiari epiteti tra di loro…si vogliono un bene fraterno e si vede, pardon, si sente…
Quando si rendono conto della platea, che li sta osservando salire, la cosa assume caratteri che definire simpatici è
molto riduttivo, lo scambio di battute si allarga a tutti i presenti con gioia anche nostra che siamo appesi ovunque
come le palline di un albero di natale…
…ma quello in sosta lo conosciamo…ma sì è Paolo Castellani, cavoli l’apritore della via, e quello su chi è? ma certo
è Ennio Tenti…abbiamo davanti a noi un pezzo della storia alpinistica targata Romagna-Marche (come la coop)
L’area di sosta, perchè solo così può essere definita, diventa una piazza da mercato dove gli attori principali restano
sempre loro, ma attorno cresce il coro delle voci minori, che spettacolo, non si è mai sentito un casino così da
nessuna parte in montagna, e dire che siamo i primi a cercare il silenzio tra i vertiginosi appicchi dove solo il vento
ha diritto di parola…e tireremmo volentieri una scarica di sassi a qualunque casinista…ipocrisia di un concetto!
La battuta top in assoluto, quella che ottiene lo share maggiore da parte dei presenti, è quando Paolo si gira verso di noi
e, con fare ironico esclama “…ma vuoi mai che due della nostra età  debbano ancora fare della roba così?”
La loro età  si aggira sui 70 ma non li dimostrano affatto e noi, magari avercene così come loro, quando ci arriveremo…
Nei momenti clou del tiro, però, per qualche secondo le battutacce tra loro si fermano e lasciano spazio a brevi e
precisi comandi di corda, a lasciar intendere che comunque si ride e si scherza, ma la testa lavora insieme alle mani…
…sulla roccia
L’apoteosi viene raggiunta all’arrivo di Ennio in sosta,gli epiteti si ripetono fino a quando Paolo parte e allora
ricominciano i comandi di corda, brevi come sempre ma precisi, fino all’arrivo in sosta…a quel punto salutoni a
profusione, baci e abbracci e i due signori della roccia così come li abbiamo trovati se ne spariscono su per la via
veloci come il vento…e si lamentavano della loro “età ” sti due ragazzini…neanche la polvere delle loro tracce abbiamo
trovato quando siamo arrivati alla cengia.
Loro sono scesi per la via della cengia mentre noi siamo saliti alla cima proseguendo la via, ma questa è un’altra storia
“Salire con fluidità , tra terra e cielo, concatenando movimenti precisi ed efficaci, ci regala serenità  e pace interiore”
Gaston Rebuffat

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